La Francia in nero by Marco Gervasoni

La Francia in nero by Marco Gervasoni

autore:Marco Gervasoni [Gervasoni, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
Google: CVxNMQAACAAJ
editore: Marsilio
pubblicato: 2017-03-15T23:00:00+00:00


Vichy e il collaborazionismo

Nella storia dell’estrema destra sono sempre esistite due tendenze, una governativa e l’altra rivoluzionaria ed eversiva, la prima favorevole a contaminarsi con i conservatori, l’altra convinta che essi siano pericolosi quanto la sinistra. Negli anni trenta a dividere le due tendenze aveva contribuito la questione del fascismo, ma, finché questo era incarnato dal regime mussoliniano, la cesura non era mai emersa in maniera così evidente, dal momento che tutta l’estrema destra apprezzava il regime littorio, distinguendosi solo per una questione di gradualità. Quando però il fascismo comincia a essere rappresentato anche dal nazismo, il quadro si complica. Col fascismo al potere in l’Italia, un paese mai nemico della Francia, ci si poteva schierare a favore di Mussolini senza timore di essere considerati filoitaliani. Ma Hitler è il fascismo in Germania, un paese che per la Francia della Terza Repubblica rappresenta anche un problema filosofico e identitario, in particolare per l’estrema destra, antitedesca da sempre, rigenerata nel dopoguerra dalla vittoria contro Berlino.

Per questo i simpatizzanti del nazismo sono inizialmente poca cosa rispetto a quelli del fascismo italiano. Di fronte all’avversione dell’Af, ancora visibile nel capitolo dedicato a Hitler del volume sui dittatori di Bainville («Il più terribile avversario della Francia») [207], quelli affascinati dal nazismo si contano tra i pochi, e sempre in ambienti marginali o eterodossi [208]. Come i «non conformisti» di «Ordre nouveau», una rivista in contatto con il nazional-bolscevico Otto Strasser, appena uscito «da sinistra» dal partito nazista [209], che pubblica una Lettre à Adolf Hitler in cui il Führer è definito «un rivoluzionario» dotato di «grandezza» e di «coraggio», un vero «democratico», liberatosi dell’«oligarchia parlamentare» per erigere la «democrazia cesaristica» [210].

Tre anni dopo, quando Hitler è ormai una minaccia per la Francia, ancora più apologetici sono i toni dell’ex radicale e pacifista de Jouvenel nell’intervista a Hitler del 21 febbraio 1936, organizzata assieme all’ambasciata tedesca a fini di propaganda [211]. Non a caso, i più aperti nei confronti di Hitler non sono in questo momento gli esponenti dell’estrema destra ma i pacifisti, quasi tutti di sinistra, favorevoli alla revisione dei trattati di Versailles e di Locarno, giudicati troppo punitivi nei confronti di Berlino. È il caso, oltre a de Jouvenel e a Drieu La Rochelle, dei giornalisti Julien Luchaire e Jacques Benoist-Méchin (autore di un sunto del Mein Kampf [212]) in contatto con l’intellettuale tedesco Otto Abetz per lanciare iniziative di amicizia franco-tedesca [213].

Il Fronte popolare, la guerra di Spagna e la Germania alleata di Franco fanno aumentare i simpatizzanti di Hitler, più o meno tutti radunati nel Ppf di Doriot, da Drieu a de Jouvenel a Benoist-Méchin a Fabre Luce. Dalla precedente curiosità si passa ora all’ammirazione per il nazionalsocialismo, non solo l’unica risposta al bolscevismo, ma un ordine nuovo, eroico, in grado di superare l’individualismo borghese, la democrazia, il capitalismo in putrefazione e di costruire un socialismo nazionale, una nuova civiltà fondata sulla mistica dell’azione. Il nazismo, infatti, mette in crisi il nazionalismo: se gli antinazisti di estrema destra avversano Hitler in



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